Il talento non esiste
Un tecnico che instilla al giovane attribuzioni esclusivamente basate sul talento persegue una strategia suicida.
Capita spesso di fare questo errore per esempio quando ci si trova a seguire un atleta che è più avanti come età biologica rispetto ai suoi coetanei anagrafici. Costui vince tutto facilmente. In questi casi il compito paradossale del tecnico dovrebbe essere quello di ‘frenarlo’.
E’ infatti rischioso che il ragazzo sviluppi l’idea di essere ‘più dotato‘, di ‘avere più motore’ dei coetanei.
E’ rischioso perchè, quando i coetanei lo raggiungeranno dal punto di vista dello sviluppo fisico o motorio annullando il vantaggio biologico, avranno nel frattempo sviluppato forme di attribuzioni diverse, che consentono di ‘metabolizzare’ sconfitte e fallimenti.
L’ex ragazzo prodigio, invece, di fronte ai primi insuccessi che non è capace di ‘digerire’, sarà incapace di comprendere perchè il suo modello del mondo è andato in pezzi. All’improvvisa perdita del talento non saprà come reagire.
Tanti abbandoni della disciplina di giovani promettenti avvengono così.
Ciao Andrea,
essere dei “bambini dotati”o talentuosi talvolta è molto più di una semplice connotazione, in quell’aggettivo si esprime tutto il bisogno di compiacere fin da piccoli i propri genitori allo scopo di ricevere affetto.
Mi vuoi bene in quanto sono bravo, non in quanto sono io, semplicemente.
E il bambino dotato va bene a scuola, è buono, educato, non delude i suoi genitori.
Sei bravo, ti voglio bene.
Sei cattivo, mi deludi.
Devastante. Questo bambino lo si porta dentro tutta la vita, a perpetrare una ricerca di affetto incondizionato che non ha mai fine.
“Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero Sè” di Alice Miller.